La camera CCD più grande del mondo

La camera CCD del Vera Rubin Observatory sarà la più grande del mondo. Grande come un’utilitaria, produrrà una mole enorme di immagini ad altissima risoluzione della volta celeste.

Un nuovo super-occhio astronomico

Fra non molto avremo un nuovo super-occhio elettronico pronto a scrutare il cielo. Sarà la camera digitale più grande mai costruita e ci permetterà di studiare l’Universo come non abbiamo mai fatto prima. Ma quale sarà la camera CCD più grande del mondo? Questo nuovo e sofisticato strumento sarà installato al telescopio del Vera C. Rubin Observatory, uno strumento di nuova generazione appositamente progettato per monitorare costantemente il cielo. L’osservatorio, in costruzione a oltre 2700 metri sul Cerro Pachón, nel Cile del nord, consentirà di riprendere continuamente il cielo, scansionando ogni tre notti la volta celeste. Le immagini che saranno prodotte ogni notte offriranno agli astrofisici una possibilità unica di studiare l’Universo, contribuendo a rivoluzionare l’astrofisica moderna.

Si stima che i dati raccolti dal nuovo osservatorio occuperanno centinaia di Petabyte, ovvero centinaia di migliaia di Terabyte. Questi numeri mostrano come presto anche nel campo dell’astrofisica gli scienziati devono confrontarsi con la sfida dei Big Data. Una sfida che richiederà nuove soluzioni per immagazzinare e analizzare questi dati, fra cui l’intelligenza artificiale. A questo affascinante legame fra intelligenza artificiale e astrofisica ho dedicato anche un articolo in edicola su Focus di novembre 2023. Ma prima di parlare della camera digitale vera e propria, scopriamo perché è così importante monitorare continuamente il cielo.

Raffigurazione artistica del Vera Rubin Observatory (Credits: Todd Mason, Mason Productions Inc. / LSST Corporation)
Raffigurazione artistica del Vera Rubin Observatory (Credits: Todd Mason, Mason Productions Inc. / LSST Corporation)

Un cielo che cambia

Un degli aspetti più interessanti dell’Universo è la sua variabilità. Al contrario di quanto possiamo immaginare guardando il firmamento, il cielo è popolato da corpi celesti estremamente mutevoli. Il caso più evidente è quello dei pianeti, che notte dopo notte si muovono in cielo fra le stelle fisse. Il loro nome deriva infatti dal greco planetes, che significa “erranti”. Esistono poi le stelle variabili, che cambiano di luminosità su tempi scala molto diversi, oppure le novae, colossali esplosioni stellari che possono avvenire una sola volta oppure ripetersi ciclicamente.

A distanze maggiori incontriamo poi i quasar e gli altri nuclei galattici attivi, ovvero nuclei di remote galassie al cui interno si trovano giganteschi buchi neri supermassivi. L’attività di questi super-buchi neri fa variare la luminosità dei nuclei galattici attivi in modo molto estremo su tempi scala anche molto brevi, nell’ordine di alcune ore. Questa straordinaria variabilità è infatti uno dei migliori modi che abbiamo per conoscere dove si trovano questi buchi neri.

Non possiamo poi dimenticare tutti i fenomeni transienti legati come le supernove, che sanciscono la fine della vita delle stelle di grande massa, oppure i misteriosi lampi gamma, potenti fiotti di radiazione di raggi X e gamma ancora in gran parte misteriosi.

Il Vera Rubin Observatory

Il nome dell’osservatorio è legato a Vera C. Rubin, astrofisica statunitense scomparsa nel 2016, che contribuì in modo significativo allo studio della materia oscura. Osservando la rotazione delle stelle nelle altre galassie, nella metà degli anni Settanta Rubin scoprì insieme al collega Kent Ford che il loro moto suggeriva la presenza di una grande quantità di materia invisibile, che oggi noi chiamiamo materia oscura.

In precedenza il nome del progetto era Large Synoptic Survey Telescope (LSST), dove l’aggettivo Synoptic, cioè sinottico, ricorda lo scopo dello strumento, ovvero di avere una visione d’insieme della volta celeste e dell’Universo.

Schema ottico del telescopio del Vera Rubin Observatory. Credits: Rubin Obs/NSF/AURA
Schema ottico del telescopio del Vera Rubin Observatory. Credits: Rubin Obs/NSF/AURA

Lo strumento principale dell’osservatorio è un telescopio dotato di uno specchio primario da 8,4 metri montato in configurazione altazimutale. Lo schema ottico del telescopio è stato appositamente studiato presso all’Università dell’Arizona e ha una configurazione innovativa formata da tre specchi. Lo specchio primario è concavo e ha la forma di un anello con il diametro esterno di 8,36 metri e interno di 5,12 metri. Lo specchio secondario è convesso e ha un diametro di 3,5 metri mentre il terziario, anch’esso concavo, ha un diametro di 5 metri. Nello specchio secondario è ricavato un foro in cui sarà installata la camera digitale e la relativa elettronica.

Grazie a questa configurazione ottica il telescopio riesce ad avere un campo di vista molto grande, pari a 9,6 gradi quadrati. Per avere un’idea della grandezza di questo campo di vista possiamo ricordarci che corrisponde a circa 40 volte le dimensioni apparenti della Luna! Per ottenere le immagini del cielo sarà però necessario utilizzare una camera digitale. Scopriamo quindi quella che sarà presto la camera CCD più grande del mondo.

La camera CCD più grande di tutte

Se l’ottica del telescopio è innovativa, lo è altrettanto la camera digitale, che rappresenta a tutti gli effetti uno strumento da record. L’occhio elettronico del telescopio è infatti la più grande camera digitale mai costruita. Come la maggior parte dei sensori utilizzati in astronomia, anche quello del Vera Rubin Observatory sfrutterà la tecnologia dei Charged Coupled Device (CCD) e sarà davvero enorme.

Si tratta infatti di una super-camera CCD da 3,2 Gigapixel, formata da una matrice di 189 sensori da 16 Megapixel, che nel complesso copriranno una superficie circolare da 64 cm di diametro, le dimensioni del piano focale del telescopio. La camera digitale sarà larga 1,65 metri e lunga 3 metri, ovvero le dimensioni di una piccola utilitaria, e peserà quasi tre tonnellate.

Struttura della camera CCD del Vera Rubin Observatory (Credits: LSST)
Struttura della camera CCD del Vera Rubin Observatory (Credits: LSST)

I pixel della camera saranno grandi un decimo di micron e in combinazione con la focale del telescopio consentiranno di raggiungere una risoluzione di 0,2 secondi d’arco. La CCD sarà sensibile nel’intervallo di lunghezze d’onda comprese fra 0,3 e 1 micron, che comprendono la luce visibile e le regioni adiacenti nel vicino infrarosso e il vicino ultravioletto.

Big Data in arrivo

Quando entrerà in funzione si stima che riuscirà a completare una scansione dell’intero cielo australe in circa 3 notti. Questa capacità di monitoraggio permetterà di rivelare circa 1 milione di fenomeni transienti ogni notte, offrendo una quantità di dati fondamentali per nuovi studi in molti campi diversi dell’astrofisica.

Le immagini saranno raccolte in formato digitale e possiamo stimare che ogni notte la camera CCD produrrà qualcosa come 20 Terabyte. Per farsi meglio un’idea, per immagazzinare tutti questi dati su dei DVD avremmo bisogno di circa 4200 dischi, per un totale di oltre 3000 ore di video in full HD. Questa enorme quantità di dati richiederà metodi innovativi per l’analisi, fra cui algoritmi basati sull’intelligenza artificiale. Per approfondire questo aspetto vi invito a leggere il mio articolo “Il cielo minuto per minuto” sul numero 373 di Focus in edicola (Novembre 2023).
La costruzione dell’osservatorio sta procedendo, e secondo il sito ufficiale il telescopio sarà pronto per la sua “prima luce” nel gennaio 2025. Fra non molto potremo vedere le nuove, straordinarie immagine di quella che sarà la più grande camera CCD del mondo. Nel frattempo, se volete sapere in tempo reale come procede la costruzione, potete anche guardare in diretta la webcam dell’osservatorio!

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