Prometeo fra le stelle. Le più importanti scoperte di Robert Oppenheimer sull’Universo

Brillante fisico teorico e “padre” della bomba atomica. Ma il protagonista del nuovo film di Christopher Nolan condusse anche lavori fondamentali per l’astrofisica, dalle stelle di neutroni ai buchi neri. Scopriamo quali.

Fisico asciutto e sguardo penetrante e deciso. Giacca, cravatta e cappello a tesa larga. E’ così che impariamo a riconoscere la figura di Robert Julius Oppenheimer nelle scene del nuovo film di Christopher Nolan uscito in Italia lo scorso 23 agosto. Il film, campione d’incassi in tutto il mondo, racconta la storia di colui che guidò il team di scienziati che durante la Seconda Guerra Mondiale realizzarono la prima bomba atomica. Il film è ispirato al libro “Prometeo americano”, scritto nel 2005 da Kai Bird e Martin Sherwin, che narra la storia controversa di Oppenheimer durante e dopo il Progetto Manhattan e la guerra. Così come nella mitologia greca Prometeo rubò il fuoco agli dei per darlo all’umanità, così Oppenheimer fece lo stesso con un potere ben più dirompente, quello dell’energia nucleare. Un bestseller che nel 2006 ha vinto il Premio Pulitzer e che ha ispirato questa bellissima pellicola che vede l’attore irlandese Cillian Murphy.

Quello che vediamo nella prima parte del film è un giovane Oppenheimer alle prese con i suoi primi successi nel mondo della Fisica fra Meccanica Quantistica e con qualche accenno all’astrofisica. Prima della Guerra infatti lo scienziato americano condusse anche importanti studi nel campo dell’astrofisica, soprattutto nello studio delle stelle di neutroni dei buchi neri, fornendo contributi che ancora oggi sono alla base della nostra comprensione di questi straordinari oggetti.

Un pioniere della Meccanica Quantistica

Nato a New York il 22 aprile 1904 da una famiglia di immigrati tedeschi di religione ebraica, il giovane Oppenheimer studiò inizialmente Chimica all’Università di Harvard. Attratto dalla fisica sperimentale, si trasferì in Inghilterra per studiare all’Università di Cambridge e lavorare nel prestigioso Cavendish Laboratory, uno dei più avanzati al mondo. Il laboratorio non era però il punto di forza di Oppenheimer, che secondo i suoi insegnati sarebbe stato più portato per la fisica teorica. Trovava l’attività di laboratorio noiosa ed entrò presto in conflitto con il suo supervisore Patrick Blackett, fisico sperimentale e futuro Premio Nobel per la costruzione della camera a nebbia, uno strumento fondamentale per lo studio dei raggi cosmici e della fisica delle particelle.

Robert Oppenheimer (Credits: Wikipedia)

Nel 1926 Oppenheimer decise così di trasferirsi in Germania all’Università di Gottinga, a quell’epoca uno dei principali centri mondiali per lo studio della fisica teorica. Qui iniziò a lavorare sotto la guida di Max Born, uno dei pionieri della Meccanica Quantistica. Erano anni di grande fermento per la fisica teorica, che stava vedendo nascere le fondamenta della Meccanica Quantistica. Oppenheimer a Gottinga ebbe modo di incontrare altri astri nascenti della fisica moderna come Wolfgang Pauli, Paul Dirac o Edward Teller. Quei fisici, alcuni ancora poco più che ragazzi, avrebbero gettato le basi della nuova fisica dei quanti, vincendo diversi Premi Nobel e passando alla storia come i padri fondatori della Meccanica Quantistica.

Dopo il Dottorato, ottenuto nel marzo del 1927, Oppenheimer rientrò negli Stati Uniti per lavorare inizialmente al California Institute of Technology e successivamente all’Università di Berkeley come professore associato. A Berkeley, come descritto bene nel film di Nolan, Oppenheimer iniziò a lavorare con il gruppo del Berkeley Radiation Lab, dove Ernest O. Lawrence aveva realizzato il primo ciclotrone della storia, successo che gli sarebbe valso nel 1939 il Premio Nobel per la Fisica. Divenuto professore ordinario nel 1936, Oppenheimer si dedicò a diversi campi nella fisica teorica, dedicandosi anche allo studio delle stelle.

Stelle estreme

Le stelle compatte sono fra gli oggetti più interessanti del cosmo. A differenza delle stelle ordinarie come il Sole, la loro massa è confinata entro volumi estremamente piccoli, e per questo motivo le loro densità sono svariati ordini di grandezza rispetto a quelle delle stelle normali. Si tratta di corpi celesti estremi, con caratteristiche di densità e campi elettromagnetici enormi e impossibili da realizzare in laboratorio. Per questo motivo i fisici studiano questi oggetti dal momento che sono dei veri e propri laboratori naturali per studiare la fisica in condizioni estreme.

Nane bianche riprese dal telescopio spaziale Hubble (Credits: NASA and H. Richer (University of British Columbia)

Esistono tre principali tipologie di stelle compatte, e a ciascuna di esse Oppenheimer dedicò un lavoro. Le “meno compatte” fra le stelle compatte sono le nane bianche, il prodotto dell’evoluzione delle stelle di piccola massa quando giungono al termine della loro vita. I modelli teorici ci dicono ad esempio che il Sole stesso un giorno si trasformerà in una nana bianca, fra circa 5 miliardi di anni, espellendo nello spazio i suoi strati più esterni e trasformandosi in una stellina poco più grande della Terra. Facendo alcuni calcoli è possibile stimare che le nane bianche hanno densità pari a circa un milione di tonnellate per metro cubo, un valore straordinariamente grande. Le nane bianche e la loro struttura fu il cuore di un articolo scritto nell’’ottobre 1938 da Oppenheimer su Physical Reviews insieme a Robert Serber dedicato allo studio della stabilità nei nuclei stellari.

Un secondo lavoro, pubblicato il 15 febbraio dell’anno successivo, è invece dedicato allo studio delle stelle di neutroni, corpi celesti ancora più estremi rispetto alle nane bianche. Se queste ultime hanno dimensioni paragonabili alla Terra, le stelle di neutroni hanno diametri che si aggirano sulla ventina di chilometri, e densità spaventose, con valori medi di centomila miliardi di tonnellate per metro cubo! Insieme al suo collega e allievo George Volkoff, Oppenheimer lavorò alle equazioni che governano la struttura di una stella di neutroni. All’epoca si trattava di corpi celesti puramente teorici, la cui esistenza era stata ipotizzata poco prima dagli astronomi Walter Baade e Fritz Zwicky. Secondo i due, le stelle di neutroni erano ciò che restava dal violento collasso della struttura stellare che si verificava durante l’esplosione di una supernova. Mentre gli strati esterni venivano espulsi a gran velocità producendo l’esplosione, il nucleo stellare collassava sotto l’azione della gravità, uno scenario che ancora oggi è accettato.

Combinando le intuizioni di Baade e Zwicky con i calcoli del collega Richard Tolman per un gas di neutroni, Oppenheimer e Volkoff mostravano che la struttura di neutroni stabile poteva avere una massa fino a un limite di 0.7 masse solari, noto come limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff. Il risultato è discusso in un articolo pubblicato su Physical Review Letters. Il limite è stato successivamente ricalcolato e oggi è compreso fra 1,5 e 3 masse solari. Le stelle di neutroni sono rimaste un’ipotesi teorica fino al 1967, quando Jocelyn Bell e Antony Hewish a Cambridge captarono il primo segnale radio proveniente da una pulsar, che non è altro che una stella di neutroni altamente magnetizzata e in rapida rotazione. Una stella di neutroni con una massa superiore a quel limite non può rimanere stabile ma continua a contrarsi sotto l’azione della gravità. Cosa succedeva a stelle così pesati restava un mistero, a cui Oppenheimer si dedicò nel lavoro successivo.

Come nascono i buchi neri

Il destino delle stelle di massa superiore è l’oggetto di un terzo articolo, a cui Oppenheimer lavorò insieme al suo studente Hartland Snyner. Già Karl Schwarzschild nel 1916 aveva mostrato che la teoria della relatività generale di Einstein ammetteva delle soluzioni a simmetria sferica, che oggi consideriamo come la prima descrizione teorica dei buchi neri. La soluzione di Schwarzschild mostrava infatti un corpo celeste la cui gravità era così alta che nemmeno la luce era capace di sfuggire, proprio come sappiamo avvenire in un buco nero. Lo stesso Einstein era tornato sul problema nel 1939, mostrando che questi corpi celesti non potevano esistere.

Immagine Artistica di un buco nero (Credits:  Jingchuan YU/Beijing Planetarium)

Pochi mesi dopo, Oppenheimer e Snyder elaborarono un modello di evoluzione stellare, che mostrava come una stella di grande massa poteva arrivare a esaurire il gas al suo interno e quindi non poter essere più sostenuta dalle reazioni di fusione nucleare. A questo punto la gravità avrebbe fatto il resto, facendo collassare la stella in un corpo celeste con una gravità talmente alta da catturare persino la luce, e che quindi si sarebbe trovato isolato dal reso dell’Universo. Il lavoro, intitolato “On Continued Gravitational Contraction” è considerato la prima dimostrazione teorica di come si possono formare i buchi neri. L’articolo fu pubblicato su Physical Review il 1 settembre 1939, una data destinata a passare alla storia.

In quello stesso giorno infatti Hitler invase la Polonia, scatenando la Seconda Guerra Mondiale. Un evento che cambiò la storia del mondo e quella del fisico americano, che fu costretto ad allontanarsi dall’oceano tranquilli del cosmo per fare rotta verso i mari molto più vicini e burrascosi. Quelli della fisica applicata allo sviluppo delle armi atomiche.

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